DAL MESSAGGERO VENETO. IL SALUTO DEL DIRETTORE OMAR MONESTIER

Tommaso Cerno è il nuovo direttore del “Messaggero Veneto” da lunedì 20 ottobre. Succede a Omar Monestier che, dalla stessa data, assume la direzione de “Il Tirreno”, storico giornale della Toscana. Cerno è nato a Udine ed è cresciuto professionalmente al “Messaggero Veneto” dove si è occupato di cronaca e politica seguendo alcune delle più importanti vicende di cronaca della regione. Dal 2009 ha lavorato a Roma all’Espresso, il più prestigioso settimanale italiano, dove ha guidato il settore attualità. Al suo attivo ha anche numerosi saggi e libri. A Omar Monestier il sincero ringraziamento per l’importante lavoro di consolidamento e sviluppo del “Messaggero” nel territorio friulano e gli auguri per il prestigioso impegno che lo attende. A Cerno e alla redazione del “Messaggero” gli auspici di raggiungere nuovi risultati nel radicamento e nella diffusione del giornale sia sulla carta che sul web. L'Editore * * * ...il Friuli è un piccolo compendio dell’universo, alpestre piano e lagunoso in sessanta miglia da tramontana a mezzodì. (Ippolito Nievo, Confessioni d’un italiano) * * * di OMAR MONESTIER Ho pensato a questo quando mi si è palesata, improvvisa, la necessità di lasciare il Friuli. La citazione, strappata dal libro e abusata da decenni soprattutto da chi non l’ha mai letto, non è la descrizione bucolica del paesaggio. È parte di un aspro inno alla coesione nazionale, allo spirito italico (col riconoscimento delle differenze regionali) e alla lotta contro ogni tipo di oppressione. È quel che, non compiutamente, si è realizzato anche in Friuli. Qui l’identità locale è forte, ma manca di rappresentanza politica, vivacchia in un contesto nazionale che servirebbe solido e che, invece, annaspa fra inefficienze e corruzione. Nievo evocava il ritorno a una sola Italia e spronava ogni singola parte del Paese a entrarvi, senza rinunciare alle proprie peculiarità. Di quell’auspicato disegno è rimasto poco. Lo Stato che raccoglie dentro i confini geografici la Nazione stenta a presentarsi come modello di riferimento, i particolarismi locali e uno sgangherato regionalismo sembrano imporsi. Non c’è progetto. Assistiamo a fenomeni centrifughi, allo scaricamento delle colpe sui comportamenti altrui. Salvo poi replicarli con pervicacia, quella sì italica, nella grande capitale e nelle piccole città che si definiscono esse stesse delle capitali. È questa indifferenza verso il bene comune, questo insieme di irresponsabilità ad aver ucciso, ancor prima dei misfatti di Bossi, il sogno di un Paese federale che potesse compenetrare le mille culture del campanile, così radicate nella Penisola. I friulani hanno uno Statuto di autonomia, ma non hanno ancora deciso in che modo interpretare la propria identità, pur avendo, più di tanti altri, gli strumenti legislativi e finanziari per costruire con le proprie mani un pezzo di futuro. Il Friuli vive oscillando fra l’esaltazione mistica del passato, il pessimismo dei figli minori bistrattati e il quieto vivere. Sta emergendo timidamente una classe dirigente che cerca di spiegare che tutti e tre gli atteggiamenti appena descritti sono sbagliati o insostenibili. Il fiume di denaro pubblico è un ricordo del passato e la canalizzazione delle risorse in maniera diversa è impellente. Prima, però, è necessario capire se vogliamo essere attori o spettatori. Contrariamente a quel che si è portati a narrare, in una sorta di autoassolvimento collettivo, molte trasformazioni sono avvenute in mancanza di protagonismi locali. Siamo colonizzati, ci rubano le banche, ci rapinano le municipalizzate, ci levano i trasferimenti. Panzane colossali. Le banche se ne vanno perché il territorio non crea alleanze che le trattengano. Basta vedere come siamo combinati: ci è rimasta una banca pubblica, il Mediocredito. La Regione se ne deve sbarazzare, altroché, e il piano di risanamento dell’istituto deve avere questo come scopo. L'ultima grande Popolare è trafitta dai postumi di una gestione nobile, ma familistica e, se non si alleerà presto con qualche gruppo, sarà inghiottita e sparirà. Il Credito cooperativo non ha ambizioni, non ha voglia di fondersi, unirsi, crescere. Si è spento l’afflato visionario del post-terremoto che spingeva per un solo istituto regionale. La comprensione dei fenomeni economici sarà negli anni a venire più importante che per il passato. Facilitarla è stata una delle sensibilità della mia direzione. Ho cercato, poi, di raccontare le storture del sistema dell’autonomia e di valorizzarne le positività. Non è vero che non ci sono più risorse. La presidente Serracchiani lo ha ricordato più volte. Ce ne sono di meno e nonostante ciò in quantità sufficiente per riportare il Friuli a quello stato esaltante di iperattivismo del dopo-1976. Trentotto anni fa il Friuli si svegliò distrutto e non ebbe paura. Fu un esempio per il mondo e io credo che abbia le energie e le capacità per tornare a esserlo. Furono i capannoni industriali e le imprese artigiane a costruire lo sviluppo. Già allora, però, una comunità piccola e marginale aveva capito che solo la conoscenza l’avrebbe tratta da una condizione atavica di subalternità. Immaginò l’Università, e fu un moto popolare a volerla. Ritengo che il connubio di crescita materiale e di formazione culturale sia stato l’idea vincente e inedita. Va rilanciata per tornare a essere il Friuli salt onest e lavoradôr, un motto che altri direttori, prima di me, avevano individuato come il più appropriato per rendere consapevole e orgogliosa la società friulana della quale il Messaggero Veneto è la bandiera possente. Cedo il testimone a un amico, Tommaso Cerno, che sono certo avrà al suo fianco, come ho sempre avuto io, una straordinaria redazione pronta a cogliere le grandi trasformazioni in atto nell’informazione, sul sito e sul giornale. Ho potuto contare su collaboratori eccellenti in ogni settore, dalla tipografia alla diffusione, fino a tutte le declinazioni amministrative e commerciali e desidero ringraziare tutti. Un saluto anche ai primi alleati di molte battaglie del Messaggero Veneto, i sindaci friulani, ai quali mi permetto di suggerire di non avere paura del cambiamento. Una stagione di riforme è cominciata, il percorso sarà lungo: che non si perdano d’animo. Ho sempre mandato in edicola il Messaggero Veneto che ho voluto, senza condizionamenti e pressioni. Di ciò sono grato all’Editore e al consigliere delegato. La libertà per chi fa questo mestiere è una linfa vitale sempre più rara. Al Messaggero Veneto ce n’è tanta. Mandi Friûl