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APPELLO DELLA MADRE DI GIORGIO RIZZETTO AL PROCURATORE
APPELLO DELLA MADRE DI GIORGIO RIZZETTO AL PROCURATORE
02/05/2016
“Signor Giudice, si metta una mano sulla coscienza: non archivi il procedimento di omissione di soccorso nei confronti di chi ha lasciato morire come un cane mio figlio. Gli renda giustizia”. A lanciare l’accorato appello, rivolto al giudice della Procura di Pordenone dott.ssa Piera Binotto, è Giorgio Rizzetto, il papà di Marco, il giovane di 23 anni deceduto giusto due anni fa, il 2 maggio 2014, in un tragico incidente dai risvolti inquietanti: il genitore si sta battendo con ogni mezzo per fare piena luce sulle circostanze del sinistro, assistito da Studio 3A, la società specializzata a livello nazionale nella valutazione delle responsabilità civili e penali, a tutela dei diritti dei cittadini, a cui si è rivolto assieme ai suoi familiari, attraverso il consulente Diego Tiso. Il caso ha destato profonda eco, anche per le sue sfaccettature, tra cronaca “rosa” e politica. In mezzo, però, c'è la tragedia di un ragazzo la cui unica sfortuna è stata quella di imbattersi per puro caso nel bel mezzo di una situazione equivoca, che tutti i protagonisti hanno fatto di tutto per coprire e mettere a tacere, a dispetto della vita altrui. Il 2 maggio di due anni fa Marco, che abitava con la sua famiglia a Portogruaro, si trova nella zona industriale East Park della vicina Fossalta per provare la sua Ford Fiesta che gli dava delle noie, in tuta da lavoro. All'improvviso, mentre procede per la sua strada con il diritto di precedenza, viene speronato a 98-99 km all'ora, come provato dalla perizia disposta dalla Procura di Pordenone, dal lato del conducente da una Volkswagen Passat che manca lo “stop”: a guidarla la (oggi) 45enne Rosanna Tabino, di Ronchis (Udine), che dichiarerà di essere da sola in auto e di essere stata inseguita da qualcuno per giustificare la sua condotta omicida: i dubbi che si trattasse del marito sono tanti. Infatti, a bordo con lei, in realtà – ma lo si scoprirà solo due giorni dopo - c'è anche Daniele Colautto, un (oggi) 55enne, pure lui residente a Ronchis,che intrattiene con lei una relazione extraconiugale e che peraltro ricopriva e ricopre ancora la carica di consigliere comunale nel suo comune: dopo l'accaduto,non ha avuto neanche la decenza di dimettersi. L'impatto è terrificante, Marco resta esanime nell'abitacolo della sua vettura, mentre la Tabino rimane nella sua Passat, a una decina di metri di distanza, con una caviglia rotta: non è in alcun modo incastrata ma, a quanto dichiarerà, è impossibilitata a muoversi a causa della frattura. Pur ammaccato, Colautto esce con le sue gambe dall'auto ed il suo intervento potrebbe risultare decisivo per il giovane. Ma il 55enne, anziché allertare i soccorsi, fugge, percorre due chilometri a piedi e si fa venire a prendere da un amico dell'Aci, lasciando il ragazzo al suo destino: la zona è completamente isolata, un “deserto di asfalto”, di notte non c'è nessuno. I minuti passano inesorabili e finalmente alle 22.14, quasi un'ora dopo il sinistro, avvenuto tra le 21.30 e le 21.45, la Tabino si decide a dare l'allarme, ma non chiama il 118 bensì un'amica, il suo medico di base, Angela Scibetta, 49 anni, pure lei di Ronchis, che accorre sul posto: sarà lei lungo il tragitto a chiamare i soccorsi. Ma, inspiegabilmente, la dottoressa di fatto presta soccorso solo all'amica ferita. Ai carabinieri dichiarerà di aver gridato a gran voce verso la macchina di Marco Rizzetto ma senza avvicinarsi e di non aver ottenuto risposta. Di sicuro non ha visitato nemmeno sommariamente Rizzetto per accertarsi dei suoi parametri vitali, circostanza che ha lasciato basito anche il comandante dei carabinieri di Portogruaro. Il risultato di questa serie di omissioni è che la prima ambulanza arriva sul posto circa un'ora e mezzo dopo il fatto, alle 23.05,e il giovane medico della Guardia Medica che interviene non può che constatare il decesso di Marco, avvenuto, scrive nel rapporto, verosimilmente sul colpo: circostanza su cui però non vi sono certezze, anche perché il dottore non effettua alcuna verifica dei parametri post mortem e, soprattutto, anche in seguito a tutti questi depistaggi, sulla salma non viene disposta l'autopsia. Il Pm dà il nulla osta per la sepoltura prima ancora che inizino gli interrogatori. Sta di fatto, però, che questo rilievo ha finora evitato al Colautto l'accusa di omissione di soccorso per Marco: il reato gli è stato contestato - sembra un paradosso - solo per il mancato soccorso alla sua amante, la Tabino, che dal canto suo, per l'omicidio colposo ha patteggiato 21 mesi, condanna comminatale per la grave condotta tenuta durante e dopo il sinistro. Ma non ha fatto un solo giorno di carcere. La famiglia di Marco, però, non ci sta: secondo il papà, che vuole andare a fondo, stabilire cos'è davvero successo al figlio e capire quanto tempo è stato perso e se si sarebbe potuto salvare, il ragazzo avrebbe agonizzato dai 30 ai 60 minuti. Perciò è stata presentata opposizione contro l'archiviazione dell'inchiesta sull'omissione di soccorso a carico di Colautto e la Procura di Pordenone ha disposto ulteriori accertamenti per stabilire con certezza come e quando sia sopraggiunta la morte del ragazzo. Un supplemento di indagini che potrebbero avere conseguenze, forse ancora più gravi data la sua professione, anche per il medico di famiglia della Tabino, la dottoressa Scibetta, che pure di recente Rizzetto ha chiamato in causa sporgendo a suo carico una denuncia presso la stazione dei carabinieri di Portogruaro “per omissione di soccorso e per tutte le ipotesi delittuose che saranno ravvisate nella sua condotta”. Il Pubblico Ministero, dott.ssa Monica Carraturo, tuttavia, avrebbe confermato la richiesta di archiviazione, di qui l'appello di Rizzetto al giudice che il prossimo 12 luglio sarà chiamato a esprimersi definitivamente sul caso. “Non c'è alcuna prova provata della morte sul colpo di Marco, sul quale non è stata predisposta alcuna autopsia, una delle tante lacune delle indagini, così come quella di non aver verificato i tabulati telefonici del marito della Tabino– ripete Giorgio Rizzetto - Ma poi, perché arrovellarsi tanto su questo aspetto. Il reato Colautto l'ha commesso nel momento stesso in cui è fuggito non preoccupandosi minimamente di controllare le condizioni di chi c'era nell'altra vettura, che distava non più di dieci metri: lui non lo poteva sapere se mio figlio era morto o meno, le sua colpa c'è tutta nel momento in cui è scappato. La dottoressa Scibetta dal canto suo, chiamata sul luogo dell'incidente dalla sua amica e guidatrice dell'auto che ha provocato il disastro, si limita a chiamare a voce alta e a distanza gli occupanti della macchina investita senza soccorrere nessuno, non sapendo spiegare al 118 nemmeno se ci siano una o più persone a bordo e in che condizioni siano. Eppure, un medico ha l'obbligo di assistere e di soccorrere i feriti. E inoltre, nel caso, avrebbe potuto certificare la morte. L'omissione di soccorso per questa dottoressa doveva scattare d'ufficio da parte del Pm, essendo ancora più evidente per il dovere che ha come medico. Non è possibile una tale superficialità da parte di tutti in questa vicenda.Questi due personaggi dovrebbero essere condannati solo perché hanno abbandonato una persona moribonda in un'auto incidentata, mettendo in atto una serie di depistaggi per salvare loro e l'investitrice: Marco non era incastrato all'interno, si poteva intervenire aprendo la portiera destra. Poteva benissimo avere perso i sensi o essere impossibilitato a parlare. Il dubbio atroce che nostro figlio si sarebbe potuto salvare, se si fossero chiamati tempestivamente i soccorsi, è per noi un costante tormento”. “Il 12 luglio lei, signor giudice, si esprimerà sull'ennesima richiesta di archiviazione sull'omissione di soccorso, alla quale noi ci siamo energicamente opposti, consentendo anche la riesumazione della salma per una TAC o una risonanza magnetica total body – conclude il papà -Una decisione per noi molto sofferta ma che abbiamo preso nella speranza di capire se mio figlio, come crediamo e temiamo, sia stato lasciato morire, e di vedere condannato alla giusta pena chi si è macchiato di questo misfatto. Nulla ci restituirà nostro figlio, ma sarà per noi un motivo di consolazione sapere di avergli quanto meno reso giustizia. Non può passare il concetto che una qualsiasi persona possa essere abbandonata e lasciata morire, tanto poi la si passa liscia”.